mercoledì 26 giugno 2013
martedì 25 giugno 2013
Nik Wallenda, il Grand Canyon e la forza dell'uomo
L'impresa compiuta dal funambolo americano Nik Wallenda nel Grand Canyon mi ha ricordato un'altra impresa fantascientifica. Il salto che ha permesso a l'Austriaco Felix Baumgartner di superare la barriera del suono infatti ha molto in comune con la camminata nel vuoto dell'Arizona di Wallenda. Il gesto sicuramente era diverso ma i due condividono l'intenzione di sfidare se stessi e la capacità di tenere incollati allo schermo milioni di spettatori. Una sfida che ha radici antichissime quanto quelle dell'uomo stesso. Percepire quella strana sensazione in grado di farti compiere gesti assolutamente folli per altri può fare sembrare semplicemente una normale necessità una vera e propria pazzia ai limiti dell'estremo. D'altronde l'uomo ha spesso bisogno di capire i propri limiti ma molto spesso la paura lo blocca letteralmente. Che si tratti di saltare da 30.000 metri di altezza o di camminare sospesi nel vuoto a 450 metri si tratta sempre di sfidare le proprie capacità.
Vedere un uomo camminare sospeso a quella altezza in bilico tra la vita e la morte davvero non può lasciare indifferenti. Chi si immagina che venga fatto per soldi e chi per pubblicità. Ma è evidente che la forza motrice, che la spinta interna e la forza di superare certi ostacoli arrivi da dentro. Una forza difficilmente spiegabile alla massa. Quel misto di adrenalina, incertezza, follia che sa anche essere razionale, emozione e sensazione sembra essere l'unica cosa che questi maestri del brivido non riescono a spiegare. Io rimango affascinato da chi sa ascoltare e nutrire le volontà estreme dello spirito e lo fa col fiato sospeso. Wallenda d'altronde non è certamente nuovo in questo tipo di imprese, attraversò su un filo sospeso da una estremità all'altra le cascate del Niagara. I 450 metri di altezza attraversati senza imbracature rappresentano la forza dell'animo umano, quello che non ha paura di compiere un'impresa a braccetto con la morte, spesso lasciandola al traguardo per ritrovarla quando giungerà il suo momento.
Queste imprese riflettono l'incredibile capacità umana di abbattere barriere incredibili. Ricordo ancora l'impresa di Philippe Petit che attraversò senza permesso le Twin Towers di New York nel Financial District nello stesso modo nel 1974. Sono nato molti anni dopo ma certo la sua impresa mi ha raggiunto con l'ausilio dei libri storia. Questo perché questi gesti devono rimanere nella storia dell'uomo.
venerdì 21 giugno 2013
giovedì 13 giugno 2013
mercoledì 5 giugno 2013
SALVATE IL SOLDATO MANNING !
Bradley Manning, il giovane analista dei servizi segreti dell’esercito, è
processato per aver contribuito via Wikileaks alla più colossale fuga di
notizie di informazioni diplomatiche e militare della storia Americana. La più
grande ma per questo la più grave ? Il soldato al momento dei fatti aveva 22
anni, ora rischia la detenzione a vita se i procuratori riusciranno a
dimostrare ai giudici della Corte Marziale che intendeva “aiutare il nemico”
infrangendo le leggi sullo spionaggio. Sfortunatamente, il comando spedito nel
2011 a Abbottabad per uccidere Osama Bin Laden, hanno effettivamente recuperato
nei pc del capo di Al Qaeda dei documenti distribuiti online al grande pubblico
dal giovane ragazzo. Ma quali ? Con quali conseguenze ?
Mentre il processo si svolge, l’opinione americana oscilla tra
l’indifferenza per il caso e l’indulgenza istintiva nei confronti di Manning.
L’accusato è prima di tutto noto per aver divulgato il video che mostra piloti
di elicotteri sparare su giornalisti della Reuters che avevano scambiato per
terroristi, prima di riempire di proiettili un veicolo di civili iracheni che
si dirigevano verso i cadaveri, presumibilmente per prestare soccorso. Questa
fuga di notizie prima smentita dal Pentagono alla direzione di Reuters, gli
conferirebbe piuttosto lo status di eroe umanitario. Un profondo conoscitore
dei vergognosi segreti. Come quelli custoditi da Jane Meyer, la giornalista
celebre per aver divulgato i siti occulti delle torture della CIA.
Il resto è più problematico, tanto dal punto di vista morale che penale. La
sete di verità esige che siano pubblicati e quindi resi di pubblico dominio le
informazioni personali di 73 000 soldati americani in Iraq ? Dei dati che
potrebbero mettere in pericolo di morte gli stessi se pubblicati ? Il suo
malessere personale, la sua vendetta, la sua collera verso l’esercito e una
“diplomazia che causa la morte di innocenti” ha certamente avuto il suo peso
nel gigantesco furto di informazioni segrete rispetto alle sue intenzioni altruiste.
Serviranno mesi, e molti sforzi ai procuratori per provare le tonnellate di
documenti già divulgati, che Manning ha in un modo o nell’altro tradito, e
soprattutto esposto pericolosamente il suo paese. La trasparenza delle
informazioni è sempre più offuscata oggi giorno, specialmente dopo l’avvento
del web 2.0, i sistemi comunicativi hanno fonti delle più disparate origini e
sembrano sempre più spesso essere manipolate. Ma Bradley Manning ha fatto bene
a fare quello che ha fatto ? La sua ingenuità e voglia di verità merita davvero
il prezzo che sta pagando ?
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